Un colpo di fortuna

Se l'Europa non coglie l'occasione ora, non la coglie più

Il presidente statunitense Barak Obama, dopo mesi interi passati a prendere schiaffoni, fino all'ultimo disastroso blitz in Yemen, dove, come se ci fosse bisogno, la Casa Bianca ha dimostrato tutta la sua incapacità sul piano militare, ha messo a segno un colpo. E per quanto possa apparire incredibile il colpo è stato tale da poter capovolgere lo scenario internazionale, Putin, infatti barcolla. Il leader russo si era presentato solo la settimana scorsa ai rappresentanti della nazione con il piglio delle occasioni migliori. A contrario di quegli irresoluti degli europei, fra cui tanti ex paesi satelliti dell'Urss, e di quello invertebrato del presidente americano, la Russia aveva la schiena dritta. Putin ha fatto fuoco e fiamme, nonostante che la crisi finanziaria fosse già avviata. L'autocrate russo evidentemente non si immaginava un tale tracollo del rublo. La moneta è arrivata a perdere il 45 per cento del suo valore. La banca centrale di Mosca ha gettato sul piatto risorse per milioni finendo per dissiparle tutte. Putin ha promesso una sanatoria per i capitali scappati dal paese, e quelli non sono rientrati. Il ribasso del prezzo del petrolio gli ha dato il colpo di grazia. Alla fine arabi e cinesi si sono trovati dalla parte dell'America e lui disperato circondato da tanti nemici implacabili. Il suo intervento in Ucraina è stato una maledizione, il mondo gli ha voltato le spalle per sorridere a quell'imbelle di Obama. Il sole splende solo su Washington e si capisce facilmente: negli ultimi tre mesi il prezzo della benzina alla pompa è calato fino a determinare un risparmio di dieci dollari a settimana per ogni americano. Quelli si che sono soldi che possono subito venir spesi in altri consumi, mica come gli 80 euro di Renzi che non hanno prodotto effetto alcuno. Per quante possa averne fatte Obama si è ritrovato sotto l' effetto della fiducia del sistema americano.. Anche soltanto sapere che il presidente verrà presto mandato a casa, è un gran bel sollievo. Così gli americani spendono volentieri ed investono, mentre in Russia chi diavolo sa chi comanderà fra un anno al Cremlino? E se Putin perdesse finalmente le elezioni e schierasse i carri armati? Il parlamento russo, come sappiamo, non ha mai goduto grandi fortune. Nel 1917 Lenin aveva promesso di rimettervisi interamente, tempo due mesi lo chiuse per 82 anni. Questo scenario in cui l'orso russo barcolla, e l'amico americano ritrova forza, dovrebbe incitare l'Europa ad un po', almeno un briciolo, di coraggio, il nostro sistema non rischierà almeno per ora di venir schiacciato sotto il tallone degli stivali cosacchi. Sia chiaro: non per meriti nostri, ma per una fortunata serie di circostanze, ad esempio, che la fine annunciata delle risorse petrolifere fosse una bubbola gigantesca. Le risorse sono quasi infinite e principalmente si ritrovano in America. Se i leader europei si preoccupassero di accelerare il varo del trattato transatlantico avremmo compiuto almeno un passo nella giusta direzione. Ci aspettavamo che dopo le elezioni americane di mid-term a novembre, venisse già sottoscritto un pacchetto di accordi contenente misure di liberalizzazione e integrazione quali energia, abbattimento delle tariffe, oltre che un accordo sugli appalti e sugli standard di produzione in sei settori (auto, chimica, farmaceutica, cosmetica, tessili, apparecchiature mediche). Fino a questo momento non si è ancora fatto niente. La ragione? Diffidenza verso Obama e paura di Putin. Almeno quest'ultima se non la superiamo ora, non la superiamo più.

Roma, 16 dicembre 2014